Pasquale Russo, Direttore generale Link Campus University

La rivoluzione digitale e la formazione degli avvocati di domani.

Intervista a Pasquale Russo, Direttore Generale Link Campus University

 

La rivoluzione digitale ha cambiato ed ancora più cambierà molti aspetti non solo nella società in generale e nell’economia, ma anche nel diritto. La Link Campus ha introdotto tra le prime Università italiane il “Diritto della comunicazione digitale”, con il Prof. Avv. Giovanni Del Re. Ce ne può parlare?

Lo abbiamo inserito nei piani di studio innanzitutto perché nei settori afferenti il diritto e la comunicazione, che sono veramente tanti, non si può più fare a meno di conoscerlo. È un dato oggettivo, parliamo di un sapere necessario che riguarda il nostro presente e futuro. Guai se le università non guardano avanti, figuriamoci se restano indietro, se adottano un modello d’insegnamento non aggiornato.  A voler essere quasi banali, ma repetita iuvant,  possiamo considerare trasversalmente la questione: il diritto della comunicazione digitale ci riguarda tutti, non solo nella misura in cui adoperiamo il Web, ma anche perché la Rete stessa ci osserva.
La comunicazione digitale ha profondamente cambiato le nostre vite, offrendo alla società una serie di possibilità prima d’ora impensabili. Si pensi all’opportunità di accedere in tempo reale a un’infinita quantità di dati, informazioni e conoscenza provenienti da tutto il mondo, su qualsiasi argomento, in diversi formati (testo, audio, video, immagine) secondo le esigenze e i gusti del singolo utente. Se vuoi sapere cos’è successo in Cina nell’ultima ora, non devi neppure più ricorrere al pc: estrai il telefonino dalla tasca, formuli una domanda all’assistente vocale.
C’è di più. Tutti questi dati, informazioni, conoscenze digitalizzate, non viaggiano in un’unica direzione (dall’ansa.it al lettore): al contrario, qualunque utente Internet è portato a interagire con essi, modificandoli in qualche modo.
Quando si commenta un articolo su ansa.it, quando si posta una riflessione su Facebook, ogni volta in cui si recensisce un auricolare acquistato su Amazon.com, si sta producendo comunicazione digitale. E comunicando talvolta si danneggiano persone fisiche e giuridiche, con la possibilità di commettere reati persino gravi. 
In casi estremi la tastiera può essere più contundente di un bastone, più tagliente di una spada, più opprimente di una catena. Un trentennio fa avremmo usato a questo proposito la metafora della penna, il cui potere è zero in confronto con quello di un computer connesso in Rete.
Sarebbe impensabile al giorno d’oggi l’assenza di un ramo del diritto che disciplini la comunicazione digitale; laddove c’è una lacuna nel diritto della comunicazione digitale, c’è un’assenza del dovere di non danneggiare (ingiustamente) il prossimo. La giurisprudenza c’insegna che il dovere di non commettere un’ingiustizia è il presupposto del diritto a non subirla.

Può nel 2017 una facoltà di Giurisprudenza o Comunicazione non erogare un corso di diritto della comunicazione digitale? Una tendenza innegabile del web è quello della condivisione e del libero acceso alle informazioni. Come si può efficacemente coniugare questo fenomeno, certamente in sé positivo, con le necessarie tutele della proprietà intellettuale?

Il problema è lo stesso del punto precedente, ma visto in un’ottica più specifica: la Rete consente a chiunque di dare e ricevere informazioni,  con il rischio di abusare di questa potenzialità anche rispetto alla violazione del copyright. Al diritto spetta il compito di mettere i paletti dove servono. Questo deve avvenire a priori.
Tanto più l’ordinamento vigente sarà aggiornato ed efficace nell’offrire le tutele del caso, tantomeno il Web si presterà a essere un mezzo di cui abusare in tal senso.
Più in generale, esistono diversi modi per difendere la proprietà intellettuale dagli atti di pirateria che possono essere commessi su Internet.
I software costituiscono una pratica e immediata forma di protezione “passiva”. Laddove la semplice protezione digitale di un file può impedire alla maggior parte degli utenti di violare il diritto alla proprietà intellettuale, il problema è risolto alla radice e con costi assolutamente limitati.
Uno strumento a cui ricorrere per proteggere le proprie opere sono le licenze Creative Commons, sei tipi in tutto, che operano secondo il modello “alcuni diritti riservati”: esse consentono di non autorizzare a priori determinati usi del file sul quale si vuole esercitare il diritto d’autore. Oltre alla flessibilità nel graduare le restrizioni, non trascurabile vantaggio delle licenze Creative Commons è l’assoluta gratuità delle stesse.
Vorrei inoltre rimarcare l’importanza della collaborazione dei grandi fornitori di servizi telematici, tipo youtube.com o Facebook, nel rimuovere prontamente contenuti caricati in violazione dei diritti d’autorePer citare un altro esempio fra i molti possibili, anche la diffusione dell’informazione volta a prevenire la pubblicazione illegale di certi dati può recitare un ruolo principe nel rispetto del copyright. Se non per ricordare le sanzioni che colpiscono il trasgressore, almeno come contropartita del principio lex ignorantiam non excusat.
In definitiva il Web è uno specchio del mondo fisico, di cui è figlio ed emanazione: ci sono buoni e cattivi, opportunità e minacce, diritti da esercitare e regole da far rispettare. Oltre a un’immensa quantità di dati liberi e gratuiti, posso accettare di pagare un certo ammontare di denaro per averne degli altri che mi interessano. In fondo molte cose belle della vita non sarebbero mai esistite in assenza di un qualche profitto per coloro che le hanno inventate.

Le aziende ed i professionisti italiani purtroppo non sempre sono sensibili alla necessaria tutela della propria creatività, e non è raro che molte idee, magari messe in rete, finiscano per essere facilmente copiate. Cosa possono e dovrebbero fare per tutelarsi adeguatamente?

Vale una volta in più il principio lex ignorantiam non excusat. Purtroppo informarsi sulle leggi in vigore richiede tempo ed energie, oltre che uno sforzo continuato nel tempo. Non tutti i professionisti possono o vogliono farlo. Questo è un problema di non facile soluzione. 
Trattandosi di un ambito molto specifico del diritto, il compito di formare i futuri professionisti in materia di copyright spetta più alle università che non alle scuole. Chiaramente una facoltà di Giurisprudenza, Economia o Comunicazione digitale possono fare molto, soprattutto se oltre alle nozioni impartiscono agli studenti un metodo di studio, quello della formazione continua. Lo studio dovrebbe durare tutta la vita, perché non si finisce mai d’imparare.
Conseguire una laurea non è solo un percorso di formazione che inizia l’anno accademico in cui ci si iscrive e termina con la dissertazione finale, ma un’esperienza che deve portare all’instaurazione di un contatto continuo con il sapere in genere. Difficile ipotizzare una facoltà di Medicina e Chirurgia che preveda un corso di diritto della comunicazione digitale, anche se ciò potrebbe rivelarsi utile anche per un medico; è tuttavia altrettanto difficile pensare che un laureato in Medicina e Chirurgia esca da una buona facoltà senza aver imparato che il sapere non è mai settoriale, che la cultura merita di essere sviluppata tanto in profondità quanto in ampiezza.

A suo avviso come potrà evolvere il “mercato” per i professionisti del diritto del digitale?

Al momento si tratta di un settore nuovo e in forte espansione, uno di quei “mercati” in cui è bene entrare subito prima che inizi a saturarsi.
Quando una gran massa di professionisti inizierà a specializzarsi in diritto della comunicazione digitale, esso diventerà solo un’altra materia di fondamentale importanza nel bagaglio culturale delle figure professionali interessate. Ad oggi è invece una grande opportunità che vale la pena sfruttare.
Ogni epoca della storia umana presenta di volta in volta un ventaglio di occasioni a coloro che le sanno cogliere. Ecco uno degli elementi che può fare la differenza fra chi emerge e chi no.

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