Diritto d’autore agli interni dei negozi.

Cosa dice la giurisprudenza. La nota sentenza che, nel riconoscere la violazione del diritto d’autore, ha condannato parte soccombente a liquidare il danno considerando, come parametro, il valore del progetto moltiplicato per il numero di negozi in cui esso era stato (abusivamente) adottato, nonché alla pubblicazione del dispositivo della sentenza su di un noto quotidiano nazionale.

La “famosa” sentenza n. 11416/15 emessa dal Tribunale di Milano, Sez. Spec. in Materia di Impresa attribuiva la tutela di diritto d’autore agli interni dei negozi di una nota catena di cosmetici.

Ad essere tutelato è stato il relativo progetto di arredamento, ritenuto rientrare nell’art. 2 n. 5 L.A. secondo il quale sono ricompresi nella protezione di diritto d’autore “i disegni e le opere dell’architettura”.

La nota catena di cosmetici aveva agito difatti in giudizio contro una concorrente lamentando che questa avesse copiato l’aspetto dei propri negozi, progettato da uno studio di architettura su sua commissione, così violando i propri diritti patrimoniali d’autore sul progetto. “Tale progetto, di stile minimalista caratterizzato da simmetrie ed essenzialità, era fondato – in sintesi – su di un ingresso open space, con ai lati due grandi grafiche retroilluminate; su interni aventi espositori laterali consistenti in strutture continue e inclinate aventi pareti caratterizzate da alloggi in plexiglass trasparente traforati nei quali sono inseriti i prodotti; su “isole” a bordo curvilineo posizionate al centro dei negozi per contenere i prodotti o fornire piani di appoggio; sulla presenza di numerosi schermi TV incassati negli espositori inclinati; sull’utilizzazione di combinazioni dei medesimi colori (bianco, nero, rosa/viola) e di luci ad effetto discoteca”.

Secondo l’attrice, inoltre, la convenuta si era resa responsabile anche di atti di concorrenza sleale a suo danno, per imitazione servile ex art. 2598 co. 1 n. 1 c.c., per appropriazione di pregi ex art. 2598 co. 1 n. 2 c.c., e parassitaria ex art. 2598 co. 1 n. 3 c.c.

Nella sentenza in commento il Tribunale rileva innanzitutto che “…quanto al settore degli arredamenti d’interni, la sua tutelabilità in base all’art. 2, n. 5 L.A. è unanimemente affermata dalla dottrina e confermata dalla giurisprudenza di merito che finora ha affrontato tale questione (v. tra le più recenti Tribunale Milano, 8.2.2011), laddove – come in generale nelle opere di architettura – la progettazione costituisca un risultato non imposto dal problema tecnico funzionale che l’autore vuole risolvere. In tale contesto il carattere creativo, requisito necessario per la tutela, può essere valutato in base alla scelta, coordinamento e organizzazione degli elementi dell’opera, in rapporto al risultato complessivo conseguito…”.

In applicazione di tali principi, i Giudici concludevano che il progetto dell’attore possedeva un carattere creativo e originale, rilevando che la combinazione degli elementi dei relativi negozi non era utilizzata nel settore prima della sua adozione da parte dell’attore stesso: …al di là della nota utilizzazione di singoli elementi che di per se stessi tuttavia non sarebbero idonei a pregiudicare il carattere originale e creativo assegnato al complesso della caratterizzazione di tale ambiente…”.

In successione, i Giudici accertano altresì “…la diretta appropriazione da parte della convenuta del complesso degli elementi che compongono il concept sviluppato da parte attrice…”, e quindi la violazione dei diritti d’autore attorei ex art. 2 n. 5 L.A.

La sentenza riteneva inoltre che sia configurabile a carico della convenuta anche la concorrenza sleale parassitaria sanzionata dall’art. 2598 co. 1 n. 3 c.c.

Il Tribunale statuiva quindi che i) accertati gli illeciti posti in essere dalla convenuta, questa veniva quindi inibita dal continuarli con fissazione di penale di € 10.000 per ogni negozio che risultasse mantenere ancora l’arredamento contestato oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza e ii) passando quindi alla liquidazione del danno, veniva determinato equitativamente in € 700.000 usando come riferimento il costo che il progetto aveva avuto parte attrice (€ 70.000) moltiplicato per il numero di negozi della convenuta in cui esso era stato adottato, iii) infine, veniva disposta la pubblicazione del dispositivo della sentenza sul quotidiano La Repubblica, con costi a carico della convenuta.

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