Marchi e Calcio

A cura dell’Avv. Guido Del Re

 

Il marchio è un qualunque segno suscettibile di essere rappresentato graficamente. In Italia è disciplinato dagli articoli da 7 a 28 del Codice della proprietà industriale (decreto legislativo n. 30 del 10 febbraio 2005) e dagli art. 2569 – 2574 del Codice Civile.

I requisiti affinché un “segno” si possa registrare come marchio sono: capacità distintiva o originalità (art. 13 Cpi), rappresentabilità grafica (art. 7 Cpi), novità estrinseca (art. 12 Cpi), liceità (art. 14 Cpi). Nel caso in cui il marchio possieda tutti gli elementi sopra indicati si potrà provvedere al deposito dello stesso presso gli uffici preposti a seconda che si voglia ottenere una tutela nazionale, europea o internazionale. Nel Calcio il marchio ha acquisito nel tempo sempre maggiore importanza. Importanza sociale ed economica dovuta allo sfruttamento dello stesso in diverse forme. Lo sfruttamento economico difatti avviene sia con riferimento agli incassi delle partite, gli abbonamenti, i diritti televisivi e le sponsorizzazioni, sia attraverso l’attività commerciale del marchio stesso meglio identificata nel merchandising.

Le particolarità del marchio delle società calcistiche sono legate alla elevata ed unica risonanza mediatica degli eventi calcistici ed all’estremo grado di “fidelizzazione” del cliente- tifoso nei confronti della propria squadra calcistica della quale acquista merchandising di ogni tipo. La gestione diretta dell’uso del marchio, genera nei confronti delle società di calcio professionistiche due diverse modalità di benefici. Da un lato contribuendo, in maniera generica ed indistinta, allo sviluppo della società ed alla formazione del risultato economico e finanziario complessivo della gestione e, dall’altro, apportando utili specifici e distinti come risultato dell’attività di merchandising.

In tale ottica, il valore del marchio è suddivisibile in due componenti ossia una “specifica”, legata alle royalties ottenibili dall’attività di merchandising, ed una “generica” relativa al beneficio sull’attività caratteristica. Per il valore che hanno acquisito i marchi sportivi nel tempo, si è sviluppato dalla metà degli anni Duemila il “fenomeno” della cessione degli stessi.

Con la necessità di “mettere a posto” i bilanci le società di calcio italiane si sono finanziate con questo meccanismo vendendo e riaffittando il marchio, o mediante la costituzione di una nuova società alla quale veniva conferito il ramo d’azienda legato allo sfruttamento del brand. Sostanzialmente il brand veniva venduto a una società collegata al club calcistico, la quale incassava un certo corrispettivo subito, in modo da poter “aggiustare” i conti e “riaffittava” contestualmente il marchio dalla società per poterlo sfruttare commercialmente, pagando un canone periodico.

Con la cessione del marchio ad una società controllata, si incassava invece “nell’immediato” una somma cospicua rimanendo “di fatto” nella disponibilità del marchio. Al di là di tali “diverse” modalità di sfruttamento dei marchi, è interessante vedere come tra le società europee il Manchester United sia in vetta tra i più ricchi brand calcistici al mondo, toccando quota 1,895 miliardi di dollari, mentre il Barcellona sia il brand più forte sul mercato. Il giusto premio alle intuizioni ed alla bravura del Manchester United che ha puntato sin da subito sul proprio brando (anche pre-globalizzazione, pre-merchandising e pre-social).

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